“Noi tunisine rivoluzionarie di nuovo
in piazza per i nostri diritti”
Lunedì scorso a Tunisi migliaia di persone hanno manifestato contro la bozza dell’articolo 28 della nuova Costituzione che definisce la donna “complementare” all’uomo anziché dotata di pari diritti. Tra loro c’era Lilia Zaouali, antropologa e scrittrice che vive tra l’Italia, la Francia e la natia Tunisia. “E’ stato bellissimo vedere tante donne e anche tanti uomini dimostrare la loro resistenza ai progetti di Ennahda”.
E’ grazie ai voti del partito islamico al potere in Tunisia che quell’articolo è stato approvato il 1° agosto in sede di commissione parlamentare. Ma la studiosa, che si trova a Biserta, a casa della madre sulla costa tunisina, si dice convinta che, anche grazie alle proteste, nei prossimi mesi il Parlamento respingerà il “principio di complementarità” in nome dell’uguaglianza tra i sessi. “Certo, il rischio c’è, ma negli ultimi giorni anche i rappresentanti di Ennahda hanno sottolineato che si tratta solo di una bozza, mostrando un’apertura ad abolirlo. Secondo me hanno capito che la gente non è d’accordo”.
C’è chi parla di fallimento della rivoluzione per quanto riguarda i diritti delle donne.
“Non ho mai pensato che avremmo ottenuto tutto subito. Forse ci vorranno 10 o 15 anni, ma sono dell’idea che vinceremo. E anche se Ennahda si è imposta alle passate elezioni, non significa che abbiamo fallito, perché dovrà fare dei compromessi con i laici”.
La piazza lunedì ha celebrato il Codice di Statuto Personale approvato nel 1956. Nella Nuova Tunisia le donne si ritrovano a difendere le leggi del passato?
“Celebrare il Codice non significa dimenticare che va migliorato. Quando fu approvato, garantì alle tunisine diritti che altrove non c’erano, in alcuni casi nemmeno in Italia, dal divorzio all’interruzione della gravidanza. Ma non è completo, ha bisogno di riforme: per esempio, in materia di eredità prevede che una donna riceva metà di quanto spetta all’uomo. E poi non ho apprezzato l’elogio del Bourghibismo e del culto della personalità espresso da una parte dei manifestanti. Durante la marcia c’era una bella atmosfera, con slogan audaci che attaccavano Ennahda, ma arrivati al Palazzo dei Congressi un noto attore, Raja Ferhat, che ha fatto carriera sotto il regime ha recitato per ben 25 minuti il ruolo di Bourghiba che toglie il velo alla prima donna e le dà i diritti… Noi abbiamo fatto questa rivoluzione anche contro il culto della personalità. E se Bourghiba ha potuto approvare il Codice, è stato grazie a donne e uomini attivi dagli anni 20. Invece pareva che fosse la Parola di Bourghiba, come Dio col Corano. Siccome la gente che non vuole gli islamisti non sa dove andare e vede che la sinistra non riesce a costruire un fronte unico, allora temo questo ritorno di vecchi personaggi travestiti da nuovi”.
I salafiti ricordano alla gente che i diritti delle donne sono stati promossi dall’odiato regime. Chi li ascolta?
“Avevamo un femminismo di Stato, con il presidente padre della nazione e protettore delle donne: era una strategia per guadagnarsi l’amore del popolo. Ora la propaganda dei salafiti può funzionare nelle fasce popolari più fragili. Ho partecipato a due eventi in quartieri popolari, spiegando l’uguaglianza a scuola a bambini che non avevano nemmeno le scarpe. In un caso i salafiti hanno organizzato una festa per sottrarci il pubblico. Ma i piccoli erano entusiasti quando spiegavo che una bambina può diventare comandante di marina. Poi hanno fatto una gara di disegno, e nei loro ritratti di donne, nessuna aveva il velo. Tutte le mamme di questi bambini sono velate, eppure, a quanto pare, il velo per loro non fa parte della personalità”.
Cos’è cambiato per la sua generazione rispetto a quella di sua madre?
“Mia madre ha 74 anni e non è mai stata a scuola. Mio nonno mandò solo i figli maschi, e lei ha vissuto chiusa, dai suoi, fino alle nozze. Poi mio padre, che non era un professore ma un meccanico navale, le disse: “Se vuoi venire al cinema con me, togli il velo”. E lei scelse il cinema. Mia madre ha sempre seguito i movimenti femministi, pur senza sapere leggere e scrivere, perché nei primi anni 60 ci fu una grande presa di coscienza dell’essere umano, uomo e donna, con una fierezza che non c’era sotto il colonialismo. E dopo il 14 gennaio, e la caduta del regime, noi abbiamo ritrovato la fierezza e cerchiamo di non perderla”.
C’è chi parla di fallimento della rivoluzione per quanto riguarda i diritti delle donne.
“Non ho mai pensato che avremmo ottenuto tutto subito. Forse ci vorranno 10 o 15 anni, ma sono dell’idea che vinceremo. E anche se Ennahda si è imposta alle passate elezioni, non significa che abbiamo fallito, perché dovrà fare dei compromessi con i laici”.
La piazza lunedì ha celebrato il Codice di Statuto Personale approvato nel 1956. Nella Nuova Tunisia le donne si ritrovano a difendere le leggi del passato?
“Celebrare il Codice non significa dimenticare che va migliorato. Quando fu approvato, garantì alle tunisine diritti che altrove non c’erano, in alcuni casi nemmeno in Italia, dal divorzio all’interruzione della gravidanza. Ma non è completo, ha bisogno di riforme: per esempio, in materia di eredità prevede che una donna riceva metà di quanto spetta all’uomo. E poi non ho apprezzato l’elogio del Bourghibismo e del culto della personalità espresso da una parte dei manifestanti. Durante la marcia c’era una bella atmosfera, con slogan audaci che attaccavano Ennahda, ma arrivati al Palazzo dei Congressi un noto attore, Raja Ferhat, che ha fatto carriera sotto il regime ha recitato per ben 25 minuti il ruolo di Bourghiba che toglie il velo alla prima donna e le dà i diritti… Noi abbiamo fatto questa rivoluzione anche contro il culto della personalità. E se Bourghiba ha potuto approvare il Codice, è stato grazie a donne e uomini attivi dagli anni 20. Invece pareva che fosse la Parola di Bourghiba, come Dio col Corano. Siccome la gente che non vuole gli islamisti non sa dove andare e vede che la sinistra non riesce a costruire un fronte unico, allora temo questo ritorno di vecchi personaggi travestiti da nuovi”.
I salafiti ricordano alla gente che i diritti delle donne sono stati promossi dall’odiato regime. Chi li ascolta?
“Avevamo un femminismo di Stato, con il presidente padre della nazione e protettore delle donne: era una strategia per guadagnarsi l’amore del popolo. Ora la propaganda dei salafiti può funzionare nelle fasce popolari più fragili. Ho partecipato a due eventi in quartieri popolari, spiegando l’uguaglianza a scuola a bambini che non avevano nemmeno le scarpe. In un caso i salafiti hanno organizzato una festa per sottrarci il pubblico. Ma i piccoli erano entusiasti quando spiegavo che una bambina può diventare comandante di marina. Poi hanno fatto una gara di disegno, e nei loro ritratti di donne, nessuna aveva il velo. Tutte le mamme di questi bambini sono velate, eppure, a quanto pare, il velo per loro non fa parte della personalità”.
Cos’è cambiato per la sua generazione rispetto a quella di sua madre?
“Mia madre ha 74 anni e non è mai stata a scuola. Mio nonno mandò solo i figli maschi, e lei ha vissuto chiusa, dai suoi, fino alle nozze. Poi mio padre, che non era un professore ma un meccanico navale, le disse: “Se vuoi venire al cinema con me, togli il velo”. E lei scelse il cinema. Mia madre ha sempre seguito i movimenti femministi, pur senza sapere leggere e scrivere, perché nei primi anni 60 ci fu una grande presa di coscienza dell’essere umano, uomo e donna, con una fierezza che non c’era sotto il colonialismo. E dopo il 14 gennaio, e la caduta del regime, noi abbiamo ritrovato la fierezza e cerchiamo di non perderla”.
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Ciao,
RispondiEliminaHai un giorno di tempo per iscriverti al mio blog mattax-mattax.blogspot.it come io ho fatto col tuo. Dopo mi cancellerò.
Buona serata e stammi bene.